Il
vino in epoca nuragica
Il
banchetto e il consumo del vino in antichità era un atto conviviale,
un momento molto importante. La “ricetta omerica” descrive l’atto
della mescita del vino con il miele dentro un cratere, cospargendovi
sopra il formaggio di capra e la bianca farina (Iliade XI, 628 e
ss.). I Fenici invece consumavano il vino “all’orientale”,
mescolandovi erbe aromatiche.
Nei
secoli VIII e VII a.C. vi fu una “internazionalizzazione” del
consumo del vino in ambito mediterraneo secondo usi e rituali di
autorappresentazione delle élites detentrici del potere economico e
politico.
Le
più antiche attestazioni del consumo del vino sono state rinvenute nei
monti Zagros iraniani, nel sito neolitico di Hajji Firuz Tepe.
Risalgono alla
seconda metà del VI millennio a. C. e sono state evidenziate
all’interno della cucina di una casa costruita in mattoni di fango.
Un dolio interrato nel pavimento della cucina conservava ancora un
deposito giallastro che ha rivelato contenere sali di calcio, acido
tartarico ed una resina oleosa di terebinto (Pistacia
terebinthus). L’acido tartarico è una
delle componenti principali del vino e la resina di terebinto
potrebbe essere stata utilizzata per dare un gusto resinoso alla
bevanda (come nei vini greci) e soprattutto in funzione battericida,
in quanto impedisce lo sviluppo dei batteri che trasformano il vino
in aceto.
Vale
qui la pena di ricordare che la tradizione storiografica, sia pure in
forma mito, narra che Aristeo, compagno di viaggio di Dedalo,
introdusse in Sardegna la coltivazione della vite,
dell’ulivo
e l’allevamento delle api.In Sardegna, mentre non abbiamo ancora testimonianze di coltivazione della vite per i periodi del Neolitico (VI-IV mill. a. C.) e Calcolitico (III mill. a. C.), sono oramai di una certa consistenza quelle relative al periodo nuragico. Le testimonianze più antiche della coltivazione della vite sono state trovate negli strati di base di uno dei due nuraghi di Duos Nuraghes di Borore e risalgono al XV-XIV sec. a.C. (Bronzo Medio tardo). I vinaccioli carbonizzati recuperati sono stati analizzati e determinati come appartenenti alla sottospecie selvatica ma ritenuti la testimonianza di una fase di avanzata domesticazione. Sono relativi ad un momento più recente (Bronzo Recente avanzato, XIII sec. a.C.) i vinaccioli non carbonizzati rinvenuti dentro uno dei pozzi dell’abitato nuragico di Sa Osa di Cabras.
Le
indagini preliminari hanno consentito di identificare come
appartenenti alla sottospecie coltivata di Vitis vinifera tutti
gli esemplari analizzati che con tutta probabilità sono riferibili a
diverse varietà di vitigni.
Oltre
ai vinaccioli sono stati rinvenuti anche altri semi riferibili a
fi chi, al melone, a semi di
lentisco,
a frammenti di legno di fi co, a rari resti di faune terrestri e
marine.
Non
solo vinaccioli ma acini carbonizzati provengono dall’insediamento
circostante il nuraghe Adoni di Villanovatulo, datato alle fasi
iniziali del Bronzo Finale, intorno al XII secolo a.C.
Vinaccioli
ancora più recenti, inquadrabili nella prima fase della prima età
del ferro (IX sec. a.C.), sono stati recuperati in diversi ambienti
del villaggio nuragico di Genna Maria di Villanovaforru. Nel
villaggio di Genna Maria è stato scavato anche un particolare
ambiente, il vano 12, con un settore separato sulla destra
dell’ingresso, delimitato da lastre, circondato da un sedile, al
centro del quale si trova un bacile in arenaria di grandi dimensioni
posto al di sopra di un lastricato in pendenza verso una vasca in
marna munita di versatoio e infossata sul pavimento.
L’atelier
di Villanovaforru, simile ad altri ad esso vicini, potrebbe
essere stato utilizzato per la pigiatura dell’uva e il succo
ottenuto probabilmente veniva raccolto nella vasca. Un laboratorio
simile è stato rinvenuto anche nel sito nuragico di Monte Zara di
Monastir. Nonostante il repentino sviluppo delle ricerche sul tema
della vite e del vino nella preistoria e protostoria della
Sardegna, rimangono aperti una serie di problemi di non facile
soluzione che saranno oggetto dello sviluppo delle indagini negli
anni futuri, come per esempio quelli relativi alle origini della
domesticazione. La morfometria dei vinaccioli fossili di età
nuragica infatti lascia il sospetto che essa abbia avuto origine
nelle culture prenuragiche.
I
contenitori “da vino” si modificano e si evolvono in forme
tipiche della cultura sarda: “brocche askoidi” e piccoli “askos”,
di squisita fattura, in ceramica e in bronzo, caratterizzeranno il
repertorio vascolare sardo fino alla prima Età del Ferro ed
oltre.
L’
addomesticamento della vitis vinifera sylvestris ampiamente
diffusa in Sardegna poté
avvenire,
sul piano teorico, indipendentemente dall’ apporto di nuovi
vitigni, ma non va
escluso
che il rapporto dei Sardi con popolazioni egee e levantine, attestato
da irrefutabili
documenti
archeologici, sin dal Tardo Elladico III A (a partire dal 1400 a.C.),
abbia comportato anche l’ arrivo nell’ isola di vitigni di area
egeo-orientale.
Bibliografia
LA
VITE E IL VINO
AL
TEMPO DEI NURAGHI
Mauro
Perra
Il
vino in Sardegna nell’antichità
ZUCCA
RAIMONDO
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